TREKKING IN BIRMANIA

Luglio 2007. Il nostro minivan abbandona un paesaggio sterminato di risaie verdi e comincia a salire di quota. A fatica percorre tornanti stretti e malandati. Mynt e Aung, continuano a masticare bhetel, poi aprono lo sportello e sputano, lo richiudono e ricominciano a masticare; suonano il clacson ogni volta che si incrocia un altro veicolo o che un qualunque essere vivente entra nel loro raggio ottico. Realizzo che sono in un altro mondo: è da cinque giorni che io e i mei amici siamo in Birmania e da quattro siamo in giro per il paese su questo minivian grigio in compagnia di un autista e il suo aiutante: Mynt e Aung. Questo viaggio è stato uno di quelli che si decidono all’ultimo, senza essersi troppo organizzati prima di partire e soprattutto senza minimamente immaginare che solo pochi giorni dopo il nostro rientro in Italia, in Birmania si sarebbe accesa la rivolta e una spietata repressione. Ci sono dei fatti però di cui eravamo consapevoli sin dall’inizio e che ci hanno fatto discutere sulla questione se fosse giusto o no visitarla. La Birmania o Myanmar (anche sul nome del paese esiste una controversia) è governata da una ottusa e repressiva dittatura militare al potere dal 1962. Nel 1987 e 1988 ci furono molte proteste popolari e diverse pressioni internazionali in seguito alle quali, nel 1990, il governo concesse le elezioni in cui vinse l’opposizione, la NDL ( Lega Nazionale per la Democrazia). La giunta militare nonostante questo è rimasta al potere, ha messo in atto una sanguinosa repressione e ha arrestato Aung San Suu Kyi, la leader del NDL. A partire dal ’90 si dice che il governo abbia fatto costruire le infrastrutture turistiche con i lavori forzati di migliaia di contadini costretti ad abbandonare le loro abitazioni per recarsi in zone lontante. Per questo motivo esiste un acceso dibattito sulla necessità, da parte del turismo, di boicottare o meno il paese. Gli stessi attivisti del NDL sono divisi sulla questione. Banalizzando, per motivi di brevità il dibattito, i favorevoli al turismo sostengono che in questo modo non si lascia isolato il paese, che i birmani desiderano e ricavano dei benefici economici da questa attività e che è più difficile che vengano violati dei diritti umani dove sono presenti degli stranieri. I contrari sostengono invece che visitare la Birmania significhi dare leggittimità al governo e sovvenzionarlo con la moneta straniera. Per quanto ci riguarda, dopo aver lungamente discusso, abbiamo deciso che per noi erano valide le motivazioni a favore di un turismo che però fosse “responsabile e consapevole” il più possibile. Siamo pariti con alcuni punti fermi:

  • Evitare ( dove possibile) le strutture governative, anche se più belle e più comode.
  • Far circolare i nostri ( non poi tanti per la verità) soldi solo fra i privati cittadini e le piccole strutture.
  • Non mettere in difficoltà i Birmani facendogli interrogatori sulla situazione politica, visto che possono essere puniti gravemente per l’espressione delle proprie idee.
  • Mantenere un atteggiamento aperto e rispettoso.

In Birmania, o Mnyamar non si può andare in giro in libertà; esistono dei percorsi obbligati, fra i quali si può scegliere, ma dai quali non si può prescindere. Noi abbiamo scelto di affittare un minivan e di fare un giro di dieci giorni, concentrato nella parte centrale del paese “visitabile”, perché molte parti del paese sono ancora oggi vietate ai turisti. E quindi eccoci qui, mentre saliamo le montagne che ci porteranno a Kalaw, una cittadina di montagna da dove partire per un trekking di due giorni che ci farà arrivare al lago Inle. Sulla strada incrociamo moltissimi camion stracolmi di tronchi di alberi, dicono che il regime stia disboscando il paese in modo irresponsabile per vendere il legno a basso prezzo in India e Cina, lasciando la terra birmana spoglia e sempre più soggetta a inondazioni e alluvioni. Effettivamente il numero di camion che ci passa davanti in un paio di ore è impress

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