NICK HORNBY

A cura di: Matteo Berardini

“Spesso dimentichiamo quanto guardare, leggere, ascoltare le stesse cose ci renda uguali.” 
Aver letto lo stesso libro, visto lo stesso film, seguito per anni la stessa squadra del cuore, tutte queste sono esperienze che inevitabilmente ci legano, ci accomunano anche senza una vera conoscenza. Proprio su questo gioca Nick Horby, lo scrittore inglese oggi 52enne, sull’empatia scatenata dall’aver amato, dall’avere vissuto le stesse cose. Ed è così che in poche pagine questo scrittore appena conosciuto si trasformerà in uno dei vostri migliori amici.
Nick Hornby nasce a Londra nel 1957, figlio di una coppia separata (il padre ricchissimo vive ora sulla Costa Azzurra), studia al Jesus College di Cambridge e per qualche anno esercita la professione di insegnante. Scrive nel frattempo come giornalista freelance e saggista, collaborando con diverse riviste letterarie e giornali, fino al ’92, quando viene pubblicato il suo primo romanzo, “Febbre a 90°”.
“Mi innamorai del calcio come mi sarei poi innamorato delle donne: improvvisamente, inesplicabilmente, acriticamente, senza pensare al dolore o allo sconvolgimento che avrebbe portato con sé.”

Il romanzo è una sorta di autobiografia a tappe, vissuta attraverso le partite della sua squadra del cuore, l’Arsenal, ed è strutturato in un’introduzione e tre parti: 1968 – 1975, 1976 – 1986, 1986 – 1992. Il libro si fa notare subito, e verrà amato subito, con forza, divenendo un manuale sul calcio, un culto per centinaia di tifosi e non; in questa prima opera sono già presenti tutti quei caratteri che diverranno peculiari nella sua scrittura. Ironia, intelligenza, stile accattivante e forte dose di autobiografia, a cui si aggiunge una capacità creativa immediata; in una parola sola: talento. Di talenti, specie in letteratura, ne esistono diversi, e quello di Hornby è di creare con una sua peculiare fusione di elementi una pura empatia, un’immedesimazione quasi spiazzante per quanto intima.
Ma il libro che sancisce il successo di Hornby, il suo capolavoro che lo rivelerà al grande pubblico rendendolo uno scrittore culto, è “Alta fedeltà”.
“Perché quello avrà dieci dischi al massimo”.
“E questo fa di lui un mostro, vero?”
“A mio modo di vedere, sì. Barry, Dick e io abbiamo deciso che non puoi essere una persona seria se hai…”
“Meno di cinquecento dischi. Sì, lo so. Me l’hai già detto un mucchio di volte (…).”
Se in Febbre a 90° Hornby usava la passione calcistica come porta d’accesso per parlare di lui, e quindi di noi, in Alta Fedeltà usa l’amore per la musica e per il collezionismo. Ci fa fare infatti la conoscenza di Rob, un trentenne proprietario di un negozio di dischi, che è stato appena mollato dalla donna con cui conviveva ormai da qualche tempo. Se la storia può sembrarvi banale non fatevi intimorire, infatti Hornby ha due assi nella manica, entrambi già usati nel primo libro e qui limati a perfezione: la sua capacità di narrare cose comuni e renderle condivise, vere, piuttosto che banali, e se stesso, che qui rivive nel personaggio di Rob. Il suo ego infatti è irresistibile, adorabile: anticonformista sino all’eccesso, coraggioso, artigliato ai suoi vizi, ai suoi tic, alle sue manie, tutto teso a presentarle eccessive e a giocarci sino a sfrondarle da qualsiasi parvenza di normalità.
In questo modo un libro su una rottura diviene il libro sulle rotture, dalla fine di una storia arriviamo alla fine di un’infinità di storie, se non di tutte.
Non a caso è proprio quando cerca di aggirare la componente autobiografica che i risultati sono un po’ sotto le aspettative (vedi “Come diventare buoni”), forse anche per rispondere a quelle leggi editoriali a caccia del “grande pubblico” che poco hanno a che fare con la sincera produzione artistica.
Oltre ad altri 4 romanzi, successivi ad Alta Fedeltà, Hornby è stato anche curatore di a

“Vuoi ascoltare un assaggio di Nick Hornby? Segui il nostro pesce rosso, Wilson, Il fratello di Boris!”

 

NICK HORNBY
Condividi !