A cura di: Luisa De Vivo
In principio c’era il sogno di un gruppo di menti brillanti di creare un’enorme biblioteca universale dove la consultazione non avvenisse in maniera sequenziale bensì permettesse di esplorare il contenuto di tutte le opere presenti grazie alla presenza di collegamenti stabili tra documenti diversi.
Era la fine degli anni ’40 ed era nato l’ipertesto, una rete di documenti interconnessi tra loro che permettono all’utente di scegliere un numero potenzialmente infinito di percorsi di lettura.
A metà degli anni ’90, con la nascita del World Wide Web, l’ipertesto informatico ha avuto uno sviluppo esponenziale, dando inizio ad una nuova era: il Web 1.0. Composto prevalentemente da siti statici, senza possibilità di interazione con l’utente se non attraverso la semplice navigazione testuale.
Ma anche la migliore delle ere è destinata a finire o ad evolvere. Con il progressivo aumento della velocità di connessione, l’abbattimento dei costi dei computer, Internet ha ribaltato il concetto di piazza. L’incontro, il dibattito, la condivisione non è più relegata ad uno spazio fisico. La creazione e l’ideazione di contenuti non sono più nelle mani di pochi, le idee circolano liberamente, si è creato un rapporto dialettico costante tra chi il Web lo riempie di contenuti e chi ne usufruisce, fino ad arrivare alla fusione dei due ruoli.
Si naviga per informarsi e poi si scrive per diffondere la conoscenza appena acquisita. Internet è il sesto potere. Dopo i tre poteri ipotizzati da Montesquieu, la carta stampata e la televisione, si colloca la tecnologia, perfetto connubio tra potere privato e potere pubblico, potere talmente decentrato e sensibile alle richieste degli internauti che riesce a rispondere ai bisogni della società in poco tempo, potere condiviso che è di tutti e al servizio di tutti, slegato dalle logiche del tempo e dello spazio.
L’esperienza, però, insegna che ogni medaglia ha il suo rovescio; se da una parte c’è uno stuolo praticamente infinito di aspiranti giornalisti, registi, musicisti, scrittori, artisti, reporter, dall’altra ci sono i giornali cartacei, le televisioni, le case editrici, le case discografiche che stanno combattendo per rimanere in vita, perché sono stati quasi totalmente sostituiti dal loro succedaneo immateriale.
Quali sono le prospettive della rete? Che cosa succederà nel futuro? Come si riuscirà a districarsi nel tumultuoso mondo internettiano? C’è chi ha ipotizzato la progressiva chiusura delle maggiori testate giornalistiche, come nel caso del libro “L’ultima copia del New York Times” di Vittorio Sabadin, al MIT (Massachusetts Institute of Technology) hanno teorizzato la nascita del “Daily Me”, il quotidiano dove si ricevono solo notizie di proprio gradimento e che non vanno in contrasto con le proprie idee.
Internet, nato come il contenitore per antonomasia di informazione, sta rischiando di uccidere l’informazione stessa o la sta semplicemente trasformando?