A cura di: Matteo Berardini
“Ringraziare voglio il Divino, labirinto degli effetti e delle cause, per la diversità delle creature che compongono questo singolare universo; per l’amore, che ci va vedere gli altri come li vede la Divinità; per la notte, le sue tenebre e la sua astronomia; per il coraggio e per la felicità degli altri; per la musica, misteriosa forma del tempo.”
Verrebbe quasi la tentazione di fermarsi qui e non scrivere niente, di prendere solamente altre di queste citazioni e di incastrarle come pezzi di un puzzle; di tratteggiare questa personalità così enorme, così affabulatrice e magnetica solo presentando un mosaico di queste riflessioni, autentici lampi di genio.
“Mi rammentai anche della notte centrale delle Mille e una notte, dove la regina Shahrazàd (per una magica distrazione del copista) si mette a raccontare testualmente la storia delle Mille e una notte, a rischio di tornare un´altra volta alla notte in cui racconta, e così all’infinito. In quella notte il re ode dalla bocca della regina la propria storia. Ode il principio della storia, che comprende tutte le altre, e anche – in modo mostruoso – se stessa.”
Inutile dirlo, è uno dei più influenti scrittori del XX secolo, un maestro di specchi e labirinti che è riuscito a narrare racconti fantastici fusi a idee filosofiche e metafisiche.
Jorge Luis Borges nasce prematuro (all’ottavo mese di gravidanza) a Buenos Aires nel 1898, in una colta famiglia di proprietari terrieri. Il futuro scrittore, che sin da piccolo manifesta i sintomi di quella cecità che nei Borges era ereditaria da ben 6 generazioni, viene educato in casa e si rivela presto un bambino precocissimo: divora la biblioteca del padre, avvocato e insegnante di psicologia, e si innamora di De Quincey, Stevenson e Dickens. Sono soprattutto i classici della letteratura inglese a formarlo, tanto che a soli nove anni traduce il racconto Il principe felice di Oscar Wilde. É Borges stesso a ricordare la spinta filosofica che lo alimentava fin da bambino, da quando il padre gli aveva rivelato con l´aiuto di una scacchiera i paradossi di Zenone: Achille e la tartaruga, il volo immobile della freccia, l’impossibilità del movimento. Questi gli forniranno da un lato le basi dei concetti di infinito, tempo e realtà, e dall’altro lo spunto per la creazione delle sue inquietanti situazioni al limite.
Tra il 1914 e il 1921 Borges si trasferisce con la famiglia in Europa, prima a Ginevra dove termina gli studi secondari e si avvicina a molti autori europei, poi in Spagna, dove scrive i suoi primi due libri rimasti inediti. Tornato in Argentina inizia a collaborare con riviste legate agli ambienti dell’avanguardia letteraria; nel 1923, il giorno prima di ripartire per la Svizzera, pubblica il suo primo libro di poesie, “Fervor de Buenos Aires”. L’edizione viene preparata all’ultimo minuto, senza correggere alcuni refusi e senza preparare un prologo; la copertina rappresenta un’incisione della sorella Norah, e del testo vengono stampate solo 300 copie, di cui le poche rimaste sono considerate dei tesori dai bibliofili: l’unica copia appartenente alla Biblioteca Nazionale Argentina è stata rubata nel 2000 insieme ad altre prime edizioni di Borges.
Sebbene la poesia fosse uno degli elementi fondamentali della sua opera è con il saggio e soprattutto la narrativa che esprime al meglio il suo talento; le sue infatti sono strutture narrative altissime, che alterano le forme convenzionali del tempo e dello spazio per creare altri mondi di grande contenuto simbolico, costruiti a partire da riflessi, inversioni, parallelismi. I suoi sono scritti che prendono forme di artifici e di potenti metafore metafisiche.
Nel 1938 muore il padre, cieco da anni, e pochi gior…
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