IL FASCINO DISCRETO DELL’EFFETTO DIGITALE

A cura di: Matteo Berardini

Dino Risi, alla domanda cosa fosse il cinema, una volta ha risposto: “Un uomo con la pistola e una donna nuda”. Definizione visiva, certo un po’ romantica e retrò, però squisitamente perfetta.
Dopo aver frequentato ultimamente le sale saremmo tentati di apportare qualche modifica: un uomo in spolverino e occhiali da sole in bilico su un fiume di lava intento a proteggere una donna con una spada laser, puntata verso un esercito di Uruk Hai. Infatti, in piena aderenza con questo nuovo millennio il cinema sta cambiando profondamente.
L’avvento della Computer-Generated Imagery e il perfezionamento delle tecniche digitali scuotono il cinema nel profondo, e anche se non apparentemente pongono una serie di domande, fanno insorgere dubbi e sorprese. Alcuni la vedono come la morte del cinema tradizionale, restano legati alla concezione di “pura rappresentazione della realtà”, che anche nelle sue manipolazioni (surrealismo) si rifà a trucchi di montaggio, illusioni ottiche e vari, insomma deformazioni pur sempre reali. Per altri l’avvento del computer segna un enorme salto di qualità, amplifica il potere e le possibilità degli autori e del mezzo stesso.
Come spesso è in questa realtà contraddittoria non è possibile decretare un giudizio assoluto, soprattutto perché questa “rivoluzione” la stiamo vivendo in prima persona, e a nessuno è mai riuscito bene esser giudice e giuria. Probabilmente tra qualche decennio saranno chiare a tutti le conseguenze di questo cambiamento, ma nel frattempo dovremmo cercare di schiarirci le idee come meglio possiamo, in questa baraonda di esplosioni gratuite e non.
Riprendiamo un attimo in mano l’uomo armato di Risi e la donna in pericolo per fare una considerazione di partenza: il cinema è un’arte fortemente popolare, nel senso che ha il potere di creare prodotti di valore sia più”elitari” che “commerciali” (definizioni fortemente di comodo). Quindi è cinema “Lo squalo” come lo è “Il settimo sigillo”. Questo è un immenso potere, dovuto al fatto che il cinema è un arte relativamente giovane (se pensiamo alla letteratura invece ci rendiamo conto che a causa della diffusione contagiosa dei romanzi di genere realizzati con lo stampino questo discorso non è quasi più applicabile). E’ anche vero però che l’intrusione delle nuove tecnologie ha alterato questi equilibri, ponendo rischi e possibilità. In sempre più film acquista importanza la spettacolarità dell’azione rispetto alla sceneggiatura o alle idee di regia, anzi si ha spesso l’impressione che questa sia diventata un elemento di contorno e che il pubblico condivida per la maggior parte queste priorità (lo dimostrano gli incassi ai botteghini).
Ma basta questo per decretare colpevole la C.G.I.? In primis l’esperienza ci insegna che non si giudica lo strumento ma l’uso che se ne fa e gli effetti digitali sono uno strumento fantastico ma molto pericoloso. Se da un lato amplificano la possibilità di rendere reali le idee degli autori, dall’altro rischiano di “impigrirli” nella lavorazione; chi andrà più a cercarsi migliaia di comparse e costumi per le scene di battaglia? Però le masse di orchi digitali non sono nulla di fronte agli eserciti dei principi fratricidi di Kurosawa; quindi si è grandioso che si possa ricreare la Terra di Mezzo, ma non si deve esagerare con le scorciatoie. Un altro discorso sono i film a basso costo; l’autore infatti con il digitale è in grado di risparmiare in molti campi, e generalmente un autore che spende meno è più libero. Ci sono poi alcuni film che prevedono un target di pubblico ridotto ma anche una lavorazione estremamente difficoltosa se compiuta senza il computer, e qui è il digitale in sé a permettere l’esistenza del film (esempio per tutti è 300, di F. Miller, che mai avrebbe trovato una produzione disposta a pagare reali scene di battaglia e reali scenari suggestivi).

Oltre a questa serie di ragionamenti restano due pu

 

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