I TRATTAMENTI DI CURA DELLA DEPRESSIONE

A cura di: Francesca Samà

La depressione può essere affrontata con terapie a base di farmaci che non possono agire sulle cause scatenanti il disagio psicologico, ma possono alleviarne alcuni aspetti. In genere, l’effetto dei composti antidepressivi è di sostituire i neurotrasmettitori che risultano essere di insufficiente produzione nel paziente depresso; in tal modo, vengono ripristinate alcune funzioni compromesse. La depressione trova anche giovamento dalla psicoterapia, mediante la quale il terapista cerca di rendere il paziente consapevole dei fattori che hanno scatenato l’insorgere del disturbo. Anche alcune medicine alternative possono costituire un utile approccio alla depressione. Un gruppo di farmaci di largo impiego è quello dei cosiddetti antidepressivi triciclici, come l’amitriptilina, la clomipramina e la desipramina. Alcuni sono particolarmente utili per i casi di pazienti insonni, altri, per contro, si adattano a soggetti che lamentano una continua sensazione di torpore; possono però causare effetti collaterali come aritmie del battito cardiaco, stipsi, annebbiamento della vista, vertigini. Costituiscono spesso il primo tipo di farmaci che il medico prescrive. Un altro gruppo di farmaci è quello degli IMAO, o inibitori delle monoamminossidasi. Questi composti sono attualmente di scarso impiego, poiché la loro assunzione comporta una particolare dieta, in cui vengano eliminati o limitati i cibi contenenti una sostanza detta tiramina (come molti formaggi, pesce affumicato, bevande alcoliche); possono inoltre esercitare dannose interazioni con altri composti farmaceutici e provocare uno stato di ipertensione. Un’altra pratica terapeutica, ormai poco usata, è quella dell’elettroshock che consiste nell’applicazione di una corrente elettrica al cervello di pazienti psichiatrici, allo scopo di ottenere una riduzione dei disturbi da essi manifestati. Attualmente, questo tipo di terapia è soggetta a critiche, per le perturbazioni che essa può indurre negli equilibri fisiologici del paziente e per le implicazioni bioetiche che essa ha. La corrente elettrica utilizzata nel trattamento di elettroshock è di circa 250 milliampere ed è di breve durata. Essa viene generata da due elettrodi applicati alle tempie del paziente. Tale corrente è in grado di indurre una crisi convulsiva, simile a quelle che si verificano nell’epilessia. Durante il trattamento, è possibile che il paziente subisca lussazioni o strappi muscolari, oppure che abbia disturbi respiratori. In genere, per limitare questi effetti collaterali, l’elettroshock viene preceduto dalla somministrazione di barbiturici in modo da ottenere uno stato di rilassamento della muscolatura e l’assenza di stati di ansia. L’elettroshock non può essere impiegato nel caso di donne gravide, o in malati di ipertensione; esso, inoltre, non garantisce una guarigione definitiva, ma una remissione dei sintomi che devono comunque essere affrontati anche con sistemi terapeutici differenti (in particolare, mediante psicofarmaci e psicoterapia). Un tipo particolare di elettroshock è quello relativo all’applicazione della corrente elettrica solo al lato non dominante del cervello, riducendo così la perdita di memoria, che è l’effetto collaterale più ricorrente di questa terapia convulsivante. L’elettroshock monolaterale, tuttavia, sembra essere meno efficace di quello bilaterale. L’impiego dell’elettroshock viene attualmente riservato al trattamento di forme gravi di depressione melancolica, e in pazienti con stati di delirio ricorrenti. Anche alcuni casi di schizofrenia possono trarre giovamento da applicazioni di elettroshock, ma, anche se per almeno venti anni si

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