A cura di: Francesca Samà
Dal secolo XIX gli psichiatri si sono interessati a disturbi mentali caratterizzati da un’errata rappresentazione della realtà, alterazioni del pensiero, della percezione e degli stati emotivi, ed anomalie del comportamento.
La psichiatria attuale definisce le psicosi come un gruppo eterogeneo e vario di disturbi, in cui possono comparire, insieme o in sequenza, sintomi raggruppati in tre dimensioni principali: la prima dimensione è definita come trasformazione della realtà. I deliri sono pensieri illogici sostenuti con insolita convinzione, la cui assurdità e implausibilità sono evidenti alle altre persone che non ne riescono a condividere il contenuto. Le allucinazioni sono, invece, delle esperienze simili ad una percezione dove non c’è un oggetto esterno percepito, sebbene l’individuo la viva come se fosse reale; le allucinazioni avvengono all’improvviso e sfuggono al controllo della persona stessa. La seconda dimensione è l’impoverimento ideoaffettivo. Sul piano clinico è espressa dai cosiddetti sintomi negativi (apatia, abulia, anaffettività, non pianificazione degli scopi) ma anche dall’impoverimento dei comportamenti sociali (ritiro sociale). La terza dimensione è rappresentata dalla disorganizzazione cognitiva, con alterazioni del linguaggio e del ragionamento, caotico ed illogico. In alcuni casi, ad esempio, le persone possono presentare delle difficoltà ad esprimere i loro ragionamenti in modo organizzato e comprensibile, questo aumenta il senso d’estraneità dall’interlocutore oppure favorisce la diffidenza o il criticismo da parte degli altri.
Esistono vari tipi di disturbi psicotici. Una prima categoria diagnostica sono i disturbi schizofrenici propriamente detti, nelle forme: schizofrenia paranoidea (allucinazioni e idee deliranti a carattere persecutorio); schizofrenia disorganizzata (disorganizzazione dell’eloquio, degli affetti e dei comportamenti); schizofrenia catatonica (blocco motorio, negativismo, stereotipie verbali e/o motorie); schizofrenia residuale (sintomi negativi come, ad esempio, impoverimento motorio, affettivo e volizionale).
Riguardo alle psicosi in generale, alcuni autori hanno distinto i fattori di rischio in due categorie:alla prima categoria appartengono i fattori eziologici precoci, quali la storia familiare psichiatrica, le complicazioni perinatali e ostetriche, i deficit neurocomportamentali, la separazione precoce dai genitori, l’istituzionalizzazione e uno scarso funzionamento della famiglia; la seconda categoria comprende alcuni parametri di personalità che dimostrano una propensione verso la psicosi, comprendenti anche le valutazioni dell’insegnante relative ad alcuni tratti temperamentali, quali labilità emotiva, ansia e ritiro sociali, passività, scarse relazioni con i coetanei e comportamenti distruttivi e aggressivi.
Riguardo alla comparsa del disturbo psicotico manifesto i fattori favorenti la malattia sono: fattori predisponenti (attivi durante la prima parte della vita o per un lungo tempo), quali fattori genetici, complicazioni perinatali o infezioni, abuso di sostanze; aspetti demografici e fattori concomitanti, quali l’età, il sesso, la razza, la classe sociale e lo stato civile; fattori precipitanti (che accadono immediatamente prima dell’esordio), quali eventi vitali stressanti o condizioni legate allo sviluppo.
Gli interventi appropriati sono di tipo farmacologico, psicoterapeutico, riabilitativo e psicoeducazionale sia per l’individuo sia per i suoi familiari.
Un intervento necessario, praticato dagli specialisti psichiatri, è quello farmacologico Esistono farmaci propriamente adibiti alla cura della sintomatologia delle psicosi. Gli antipsicotici comprend