DAVID FOSTER WALLACE

A cura di: Matteo Berardini

“La verità ti renderà libero. Ma solo dopo che avrà finito con te.”

Negli ultimi decenni si è sviluppato nel mondo artistico e in particolare in quello della letteratura uno sgradevole fenomeno, che per certi versi ha da sempre afflitto questi campi. Parlo di quella inguaribile tendenza all’entusiastica esaltazione delle opere del passato, oramai canonizzate e inserite in schemi recettivi standard, che spesso conduce alla forte indifferenza e snobismo con i quali si accolgono molti lavori contemporanei. “Si certo è un bel libro, innovativo… però si sa Proust era un’altra cosa”, “Bello, però Dostoevskij…”
Tanti “però” che si affastellano, e intanto piccole perle si perdono nella proliferazione roboante dell’industria culturale, che proprio per via di questa accelerazione frenetica al guadagno deve essere scandagliata e scremata con molta più cura di prima, e soprattutto senza pregiudizi. Perché a questo tipo di ragionamento (quello del tipico intellettualoide sempre pronto a ricordare al mondo che “si sa, da Mozart in poi la musica è tutta in discesa”) si accompagna un’altra forma di snobismo a dir poco snervante, quella di chi non legge Asimov perché “è solo fantascienza”; si, e allora Poe era solo uno scribacchino dell’orrore, Sciascia un giallista da rivista e Melville un marinaio col vezzo della scrittura.
Attenzione, tutto questo sproloquio non è certo un’incitazione ad attuare una tabula rasa culturale; i veri capolavori ci parleranno per sempre perché parlano dell’intima natura dell’uomo, scavano nei cuori di tenebra che sempre avremo, in quanto universali. Teniamo presente che senza la Divina Commedia non esisterebbero né “The Wasteland” di Elliot né i “Cantos” di Pound, che senza passato non c’è futuro: banale ma vero.
Inoltre consideriamo che la bellezza della genialità umana è nella sua irripetibilità; quindi è inutile cercare certi confronti. Nulla sarà come i “Fratelli Karamazov” o “Le nozze di Figaro” è vero, ma per fortuna visto che molto, tanto, sarà ugualmente bello in modo totalmente diverso.
Questa lunga digressione introduttiva serve a presentarci uno di quegli autori che ci ricordano che l’arte si fa nel presente, che ci sono ancora dei geni e che dobbiamo dar loro tutta l’attenzione che meritano. Questo scrittore, questo “Emile Zolà post-millennio”, è David Foster Wallace, classe ’62, un concentrato di Pynchon, DeLillo, Nabokov, Borges.
Come nasce un autore simile? A metà di una brillante carriera universitaria il futuro scrittore, un vero e proprio nerd con il pallino per la filosofia e la matematica, interrompe la stesura delle due tesi in letteratura inglese e in filosofia (specializzazione in logica modale) e se torna a casa in preda ad un improvviso calo di motivazioni. Qui si imbatte in un racconto di Donald Barthelme, un maestro della narrativa postmoderna, e ne rimane stregato; prende la sua seconda tesi e la riscrive totalmente, creando così “La scopa nel sistema”, il suo primo lavoro, che definisce come “il romanzo di formazione di un giovane wasp ossessionato da Wittgenstein e Derrida”.
Il romanzo esce nel 1987 e pubblico e critica notano subito questo giovane autore di appena 25 anni che si distingue per la sua complessità e il feroce humour; Wallace si ancora fortemente ai padri maestri del postmoderno (infatti i paragoni illustri abbondano fin da subito) con uno stile che mescola intellettualismo e comicità, surreale e iperrealismo, ironia e reale commozione. A questi però aggiunge una cifra critica inedita, attraversa la corsa mediatica che la realtà ha fatto a capofitto e la assimila.
Il passo successivo di questo percorso esce nel 1989 ed è una raccolta di racconti, “La ragazza dai capelli strani”, racconti che come schegge impazzite esplodono tra le mani del lettore…

Vuoi ascoltare un divertente assaggio di questo geniale autore? Segui Wilson, il pesce rosso fratello di Boris!

DAVID FOSTER WALLACE
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