COSA RESTA DI HAITI?

di Marta Di Nuccio

Il 12 gennaio 2010, un terremoto di magnitudo 7.3 della scala Richtersituato a 13 km di profondità colpiva uno dei paesi più poveri al mondo facendolo letteralmente sprofondare nella disperazione. L’epicentro è stato localizzato a 15 km dalla capitale Port au Prince. 

Nonostante la gara di solidarietà che si è creata all’indomani della tragedia, la ricostruzione non è ancora avvenuta, secondo alcuni perché i fondi raccolti sarebbero andati a sanare il debito che il paese aveva in precedenza. Infatti si tratta di un’isola, anzi della porzione occidentale dell’isola di Hispaniola, dal passato politico ed economico disastroso. Prima colonia francese, poi per anni sotto la dittatura di Papa Doc Duvalier, rimasto nelle cronache per i suoi metodi sanguinari esercitati attraverso i Tonton Macoutes, una milizia privata incaricata di eliminare gli avversari politici e non solo, dal 1971 gli successe il figlio, Baby Doc Duvalier, che, dopo una rivolta popolare, nel 1986 è fuggito a Parigi, dove non ha mai ottenuto ufficialmente asilo politico. Il 17 gennaio 2011 è tornato nella Capitale dichiarando di voler aiutare la popolazione allo stremo, ma dietro alla versione ufficiale non è chiaro quali interessi vi siano. Di sicuro il Paese non ha bisogno del ritorno in patria di un’ex dittatore, sopratutto in un momento nel quale il caos politico è alle stelle per via delle elezioni che si sono tenute lo scorso 28 novembre, e che hanno visto uscire vincitori al primo turno l’ex first lady Mirlande Manigat e Jude Celestin, il candidato sostenuto dal presidente uscente Renè Preval. Elezioni che sono state oggetto di denunce di brogli, tanto da rimandarne il secondo turno che era previsto in questi giorni, anche a causa del clima incandescente che si è instaurato.. Ma ai media stranieri sembra non interessi abbastanza. Neanche del fenomeno della adozioni illegali di bambini che scoppiò all’indomani della tragedia si è più parlato. Si sa invece che è in forte aumento il numero di violenze sessuali, grazie al rapporto stilato da Amnesty International. A richiamare l’attenzione internazionale, è stata invece l’emergenza sanitaria che è scoppiata lo scorso ottobre e  che rappresenta la piaga più fresca di Haiti. Infatti nel Paese è in corso un’epidemia di colera che ha già mietuto 3600 vittime, e che secondo l’OMS, non ha ancora raggiunto il suo picco. Il sospetto che a portare la malattia, che non compariva sull’isola da circa un secolo, sia stato un casco blu Nepalese, ha alimentato violenti scontri tra la popolazione e i reparti della Minustah, la missione ONU di stabilizzazione che opera sull’isola dal 2004. Sembrano lontani I filmati delle macerie, il rumore dei palazzi che si sbriciolano al suolo, il muro di polvere che ha accompagnato le telecronache di quei giorni; eppure è passato appena un anno. Si ha l’impressione che le immagini abbiano una scadenza, e che anche la compassione umana sia soggetta a questo disfacimento. Viene da chiedersi: Se non ci fosse stata l’epidemia colerica l’attenzione sarebbe tornata su Haiti? Non bastavano già 225 mila morti e oltre un milione di persone che vivono ancora negli accampamenti a tenere accesi I riflettori su questa immane catastrofe?

Quel che è certo è che Haiti trema ancora.

 

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